
Una donna giaceva nuda sul letto. C’era stato qualcosa in quella stanza, ma non sapeva come chiamarlo.
Un uomo si alzò e cominciò a rivestirsi. C’era stato qualcosa in quella stanza, ma non si preoccupava di sapere cos’era.
L’uomo mentre si rivestiva parlava: parlava mentre si infilava le mutande, parlava mentre si metteva i calzini, parlava mentre si infilava i pantaloni, parlava mentre si abbottonava la camicia. Mentre parlava aveva un sorriso soddisfatto stampato addosso. C’era stato qualcosa in quella stanza, e per quel che era gli bastava.
La donna restava muta, accucciata come un cane, con occhi da cane, quegli occhioni enormi dei cani tristi quando sanno che il padrone esce, o magari va in vacanza e non torna.
La donna giaceva sul letto, nuda, e si chiedeva cosa fosse quello che c’era appena stato in quella stanza. Sperava che la sua vellutata e mattutina nudità attirasse quell’uomo che parlava così tanto senza fermarsi mai, e che gli strappasse almeno uno sguardo, una carezza.
Ma l’uomo era troppo impegnato a parlare allacciandosi le scarpe.
Allora la donna dagli occhi tristi osservava il soffitto, e taceva.
Arrivò il momento che l’uomo doveva uscire. “Devo andare, ho un impegno” disse. Le sorrise, le mandò un bacio da lontano, un bacio di quelli frettolosi che mandi agli amici che incontri per strada e non te li aspetti proprio lì, su quel marciapiede, in quella parte di città.
L’uomo la salutò così, quasi stupito di trovarla lì, ancora svestita, sdraiata nel letto. Poi uscì chiudendosi la porta alle spalle.
La donna rimase immobile tra le lenzuola sfatte. C’era stato qualcosa in quella stanza, ma non sapeva come chiamarlo. Era da un po’ che ci pensava, e non era più sicura che “amore” fosse il nome giusto.