Promesse

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Susanna stava seduta sul tetto e litigava col vento.

Una luna più bassa e indulgente che mai le faceva il favore di illuminarla mentre lei borbottava che no, non poteva essere come diceva lui, non era possibile che questa situazione continuasse ancora così, senza cambiare di una virgola, non poteva accettarlo. Ma il vento, imperterrito, le soffiava contro e ribatteva che sì, invece, Susanna doveva accettare che ancora per vari mesi sarebbe rimasta sola, doveva imparare ad amarsi e ad amare quello che veniva. Così era deciso e così sarebbe stato ancora per un po’, doveva accettarlo. Non si va contro il cielo, non si possono forzare le cose se il cielo non è ancora pronto. Sono cose che sa anche un bambino. Lo sa perfino la luna.

 Susanna sospirò, imbronciata fuori, ma tanto rassegnata dentro. Ancora una volta il vento aveva avuto l’ultima parola. L’unica cosa che le restava da fare era salutarlo e congedarsi educatamente anche da quella bella signora silenziosa e lucente che da tanti anni ormai la onorava della sua cortese e solidale compagnia, e rientrare in casa, nella sua stanza e nelle sue poco pazienti attese.

Susanna conversava col vento da quando era bambina. Poteva starsene per ore seduta su quelle tegole a bisticciare con la brezza, ad ascoltare le sue storie, a fare mille domande e ad ascoltare (molto più spesso a contestare inutilmente) le risposte. Susie era cresciuta così, solida come il tetto su cui stava appollaiata, forte delle sue interminabili “conversazioni private”. Poco importava se il vento non le rispondeva davvero; non le interessava se la luna la osservava materna e muta tra le costellazioni. Susanna sapeva che quello che si svolgeva sul tetto di casa sua si chiamava semplicemente “vita”, e corrispondeva né più né meno a ciò che gli uomini definiscono “crescere”.

Susanna cresceva sotto le stelle (le sue stelle), tra dubbi, incertezze, mute consapevolezze, dolori privati e gioie improvvise. Nulla più. Aveva imparato che la vita, l’amore, sono come ognuno li vede, diventano ciò che ciascuno ha imparato a cercare. Niente da incasellare come giusto o sbagliato: solo ciò che ciascuno ha imparato a cercare, ciò che ognuno sa e può vedere.

Tante cose aveva capito Susanna in quelle innumerevoli notti, tra la cena e la mezzanotte. Due erano le più importanti: primo, che quando avrebbe avuto una figlia (perché sarebbe stata una femmina, lo sapeva), le avrebbe insegnato a conversare con il cielo; secondo, che Susanna doveva imparare ad aspettare, tanto prima o poi il cielo ti dà quello che tu già annusi nell’aria, perché il cielo mantiene le sue semplici promesse. Parola del vento.

Susanna sorridendo spense la luce, e si addormentò.

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