Sono arrivata ieri. L’odore del gelsomino mi segue a ogni angolo. Vorrei dirti che qui non mi piace, che sto già pensando di tornare, ma non è vero. Qui tutto è prepotente e non si preoccupa di esagerare. Qui sento che è già in atto la resurrezione.
La signora Maria è una donna grassoccia e molto pallida. Non è insolito su un’isola come questa, in alta stagione. Senza parlare mi mostra le chiavi, poi apre il portone e percorriamo tre rampe di scale su per un condominio senza finestre. La stoffa della sua vestaglia si tira sulle natiche fino al pianerottolo giusto. Mentre lei traffica con la serratura, io respiro il suo odore di sudore, sapone e soffritto. Finalmente entriamo nell’appartamento. La signora apre gli scuri: i muri si fanno candidi di sole e dalla ringhiera del balcone affiora l’azzurro del mare. «Ecco qui», Maria ha il tono di chi non ha mai smesso di parlare, anche se non ha ancora detto niente. «Nel bagno ci sono già dei teli puliti, il letto è stato fatto stamattina. Se ha bisogno di comprare qualcosa, c’è un piccolo supermercato appena svoltato il palazzo, sulla destra. Se però vuole fare spesa grossa, le consiglio di andare al MegaMarket, un discount appena fuori città. Sennò, ci sta il mercato di ortofrutta ogni giovedì mattina, fino alle 13». Maria sbuffa, tira fuori un fazzoletto dalla tasca e si asciuga la fronte.
«La spiaggia?», le suggerisco.
«Ah sì, certo», si riprende: «Se qualche volta non vuole andare lontano, ci sta la spiaggetta qui accanto al molo, ma l’acqua non è molto bella. Le conviene prendere la bici e andare alla Baia Azzurra, che dista circa cinque chilometri fuori dal paese, oppure molto bella è anche la spiaggia del Santo, ma ci vuole la macchina – trenta minuti al massimo, non si preoccupi. Però lì conviene andarci sul presto, che sennò si riempie subito, sa».
«Va bene, grazie».
«Se non ha altre domande, le lascio le chiavi sul tavolo. Poi stasera alle otto, se si ferma in portineria, c’è mio figlio; conviene che paghi a lui il soggiorno. Lui poi le porta su il ventilatore, ché qui non ci sta altro.»
La guardo, lei ci tiene a rassicurarmi: «In camera da letto passa più aria. Il ventilatore può servirle qui in soggiorno, soprattutto al pomeriggio, se vuole riposare un po’». Io annuisco, non mi viene niente da dirle. Maria lo capisce e spiega che deve scendere di sotto. Qualche secondo e la sento ciabattare giù per le scale.
Resto un momento ad ascoltare il fruscio delle onde interrotto dal clacson di un motorino, poi una donna saluta qualcuno dalla finestra in un dialetto sfrontato. Decido di uscire sul balcone e mi chiedo come mai la signora non mi abbia trascinato subito davanti a tanta meraviglia, anche solo per compensare le mancanze di questo appartamento dimesso: il mare è un tappeto turchese, si pavoneggia solo per me.
Assisto al luccichio e mi viene voglia di scriverti: chiederti come stai, dirti che sono arrivata, che fa caldo ma non come in città (anche se le persone qui non lo sanno, e si asciugano un sudore che non capisco), che il mare entra dalle finestre proprio come speravo, che il profumo di gelsomino mi invade le narici e non so perché, che sento che sarò felice, anzi lo sono già, sono felice di essere qui, io, sola.
Ma no, no che non posso. Tu vuoi che ti dica che mi manchi, che già non so come trascorrerò queste due settimane, troppo tempo senza di te – che mi respiri accanto, che mi sfiori, che mi possiedi e non ti chiedi se mi è piaciuto. No, no che non posso.
Allora desisto. La mia mano, lenta, prende il telefono dalla tasca, nel riquadro sotto il tuo nome scrive “Arrivata, già mi manchi”, chiude con un cuore rosso, una promessa di nostalgia.
Nel mio cuore, quello vero che sta accelerando adesso, a un giorno dal mio arrivo, di fronte a questo vecchio amico azzurro, su questa baia degna del suo nome, in questo abbraccio di gelsomino, io sento la libertà.