La notte è uno swing, o almeno così sostiene lo speaker di DoubleC Radio.
Scivolano su un asfalto d’inchiostro, il commissario Butler e Miranda Lewis. Luci giallastre di lampioni, insignificanti come candele, sfrecciano ai lati del paesaggio, seguite da qualche solitario casolare. Lì una strada dissestata, qui un bar immerso nel fumo, là una stazione vuota. In macchina, per strada, ci sono solo loro due.
Vaporosi capelli ramati. Labbra carnose. Sigaretta accesa. Profumo costoso. Irresistibile per molti, ma non per l’ispettore fulvo di Cannock. Viaggiano in silenzio da circa quaranta minuti, ovvero da quando lei si è accasciata sul sedile logoro della sua vecchia Volvo. Il taciturno Denton la sta accompagnando al commissariato (lei non guida, è abituata a girare con l’autista), teme che l’arresterà presto per l’omicidio del suo ricchissimo quanto anonimo marito e della domestica, una ragazza mora dai bei lineamenti. Mrs Lewis guarda il buio delle campagne intorno a Cannock Chase con fare annoiato, pare che l’esito della sua sorte non le importi più di tanto. Quello che voleva fare l’ha fatto, ora può accettarne le conseguenze. Ogni tanto si volta lentamente e scruta il commissario con sguardo malizioso. Sa sedurre uomini di qualsiasi età. Lo sanno tutti a Cannock che questa è l’unica cosa che Miranda Cox (sposata Lewis) sa fare nella vita. Sorride, gli dice: «Detective, manca molto? Non vorrei che ci perdessimo nella notte di Cannock. Pensi, io e lei da soli… La faccenda potrebbe sembrare dubbia e compromettente». Denton si sforza di sembrare divertito, ma il suo imbarazzo è evidente. «Signora Lewis, non si preoccupi, tra poco ci siamo. Così potrà fare le sue dichiarazioni e darci la sua versione dei fatti». Di nuovo silenzio.
Sono immersi nell’odore di periferia, nella luce ammaccata delle insegne al neon, ciascuno nei propri pensieri notturni. “A quest’ora potevo essere comodamente sdraiato sul divano davanti alla tv, e invece…”, pensa Denton. L’ispettore, scuro in volto, borbotta mentalmente, quando Miranda di colpo esclama: «Detective, fermiamoci lì, a quel bar, ho una sete tremenda». Con fare riluttante, Denton accosta l’auto e si affianca all’entrata del locale. “Vorrei chiudere questo caso il prima possibile, ma in fondo, che fretta c’è? E poi un bicchierino non fa mai male, scalda le ossa” si rassicura il commissario. Il bar in questione è il Murphy’s in Tumbourne Road, tutto legno e vecchie locandine, più fumo che ossigeno e una medaglia impolverata appesa dietro il bancone: gli anni d’oro di un ormai defunto Murphy. La porta si spalanca, e si spalanca anche il silenzio. Il barista, un trentenne dalla testa rasata, li guarda allo stesso tempo sospettoso e ammirato per la bella compagnia che sfila al fianco del detective. La leggendaria Miranda continua a colpire. Il corpulento ispettore e la donna dai capelli di fuoco si siedono ad un tavolo, Denton cerca in ogni modo di passare inosservato. Miranda, soddisfatta, accavalla languidamente le gambe e si accende l’ennesima sigaretta. Ora è molto più sicura di sé: quello è il suo mondo. Prima di sposare Laurence Lewis era solo una bella cameriera.
«Allora, detective, cosa mi racconta? Visto che siamo qui chiacchieriamo un po’…». Le labbra carnose smettono un secondo la loro posa seduttiva, gli occhi bistrati si velano di qualcosa ed entrano in quelli dell’ispettore. «Butler, lei è felice?».
Denton non sapeva che dire. Già gli sembrava assurdo stare seduto in un bar a bere whisky con una indagata mentre metà commissariato lo stava aspettando (una parte lo attendeva per interrogare Miranda, un’altra semplicemente per fissarle il culo mentre passava). Il detective abbozzò quella che doveva essere una risposta e in realtà fu solo un borbottio sconnesso, sempre più imbarazzato. «Sì, non so… boh. A volte penso sia troppo tardi per chiederselo, sinceramente». Restò sorpreso dalla sua stessa sincerità, uscita infine senza sforzo.
Miranda sorrise, e questa volta fu un sorriso stanco, autentico, la maschera da seduttrice era scomparsa: «Sì, forse ha ragione. Ormai è troppo tardi». Mentre la donna osservava le vetrate che davano sulla strada, a Denton parve che quei bellissimi occhi, notoriamente freddi e distaccati, fossero leggermente lucidi. Ecco che, improvvisamente, Butler il Burbero, Butler il Cinico, Butler dall’Animo di Ferro, si rilassò. In fondo, lo sapevano entrambi che lei sarebbe finita presto dietro le sbarre.
Miranda Cox era bella, ma non stupida, sapeva già di non avere possibilità di salvezza: aveva davvero ucciso Laurence e la domestica perché erano amanti. Non aveva ucciso il marito perché lo amava, però. Il motivo era molto più misero, feroce: semplicemente, il potente ed elegantissimo signor Lewis si era permesso di desiderare un’altra donna che non fosse lei. E questo era un fatto inedito, un’eventualità che una come Miranda Cox non aveva mai pensato potesse riguardarla. Il tradimento è roba per gente qualunque, donnette senza carisma che non hanno nemmeno le basi della femminilità. Per questo la colf doveva morire: non era particolarmente bella, né aveva nulla di intrigante (mentre lei, Miranda Cox, sì che sapeva essere davvero intrigante). Perché Laurence si era appassionato così, allora? Miranda strinse la bocca, non voleva che Butler ne vedesse il tremolio. C’era solo una ragione per cui suo marito si era invaghito di quella ragazza: Joan era giovane. E Miranda cominciava a non esserlo più così tanto. Quella cosa non la si poteva fermare, non la si poteva controllare.
Si fa fatica ad accettare la fine: vale per qualsiasi cosa.
L’ispettore, nel frattempo, guardava stupito l’espressione triste della donna (gli pareva persino che la bocca tremasse), e pensò: “Perché non regalarle un’ultima serata di libertà, uno dei suoi soliti bicchierini?”. Avevano tutto il tempo per confessioni e trattative, e quella notte era decisamente uno swing, non andava presa di fretta.
Rimasero a bere e chiacchierare per metà della notte, il commissario e la bella donna dal profumo costoso. «Si è fatto molto tardi, sono stanca. La prego, detective, mi riaccompagni a casa. Confesserò domani».