Nell’auto vagheggiava un lieve sentore di sigaretta, e questo irritava ancora di più l’ispettore Denton Butler. Quando era nervoso fumava in macchina, cosa che, fatto strano per un fumatore, gli dava non poco fastidio. Nella sua rudezza, Butler riusciva ad essere insospettabilmente vanitoso: ci teneva a non puzzare di fumo, anche se gli costava ammetterlo. In luoghi come la periferia di Cannock Chase le frivolezze avevano vita difficile.
Denton era nervoso perché erano già trascorse cinque settimane e non aveva ancora risolto completamente il caso che gli era stato affidato. In commissariato cominciavano già a ridacchiare al suo passaggio, perché, si sa, i “fattacci” di cittadelle come Cannock, popolo di innocui minatori scorbutici e casalinghe pettegole, si risolvono in pochi giorni, e se già si supera la settimana ti guadagni la fama dell’incapace. “Tutta colpa di quelle maledette gemelle” borbottò il commissario nel silenzio dell’abitacolo, a tratti interrotto dalla radio acciaccata che singhiozzava un inascoltato notiziario. L’ispettore, infatti, stava indagando su un omicidio avvenuto nel garage delle sorelle Murray, le gemelle Agatha e Agnes.
La mattina del 17 settembre scorso, verso le 9.30, Agatha aveva telefonato alla polizia, denunciando la scoperta del cadavere di uno sconosciuto, trovato impiccato al soffitto del loro garage. Si venne poi a sapere che il morto, un uomo sulla cinquantina, tale Edward Powell, non era affatto ignoto alle due donne, soprattutto ad Agatha, che, secondo immancabili voci di paese, aveva avuto una breve relazione con lui, finita un anno prima. Agatha, però, afferma di non averlo riconosciuto perché sconvolta dall’orrenda visione. Peccato l’abbia detto con uno straniante tono indifferente.
Denton sapeva, era certo che una delle due gemelle fosse l’assassina, ma non riusciva a capire con certezza quale delle due, perché ciascuna proteggeva l’altra, mescolando le prove e le dichiarazioni fatte agli inquirenti. Il suo fiuto di lunga esperienza gli diceva che era stata Agatha stessa, ma non poteva dimostrarlo, e nemmeno riusciva bene a capirne il motivo. Quello che le due sorelle volevano far credere a tutti era sicuramente un suicidio d’amore, con un Edward disperato per la rottura con Agatha, che, in preda ai suoi deliri, aveva deciso di farla finita proprio in casa dell’amata, facendosi ritrovare da lei, che avrebbe dovuto poi trascorrere l’esistenza in preda ai sensi di colpa. “Anche fosse, mi dispiace, caro Edward, ma non ha funzionato” concluse l’ispettore, le mani rilassate sul volante.
Agatha e Agnes Murray erano due gemelle identiche, sulla quarantina. Capelli scuri a caschetto con qualche striatura grigia, esili e non tanto alte. Cipiglio burbero e un abituale muro di riservatezza: ciò che accadeva in casa Murray rimaneva in casa Murray, di qualsiasi cosa si trattasse. Il mondo esterno con tutto il suo insignificante starnazzare cominciava appena fuori dal loro cancello, e non era affar loro. Non si erano mai sposate, nonostante in gioventù fossero famose per la loro bellezza, e nonostante Agatha sia stata una ragazza molto chiacchierata per i suoi flirt giovanili con numerosi giovanotti, sposati o meno, di Cannock. Di Agnes si sapeva ancora meno, se non che era più malleabile della sorella, più devota alla casa, probabilmente ancora vergine. Il detective Butler le conosceva da anni, aveva sempre ammirato la loro riservatezza e la loro indipendenza incurante dei giudizi altrui, rara eccezione in paesini come il loro. Non negava neppure di aver nutrito anche lui, come tanti, un certo interesse per Agatha e la sua camminata fiera, ma non si era mai azzardato a rivolgerle la parola. Così, le loro giovani vite avevano preso direzioni diverse, senza rimuginarci troppo su.
L’ispettore Denton era seriamente infastidito. Era sempre più certo che la colpevole fosse Agatha, ma una sottile vocina nella testa lo torturava con continui sospetti, l’impercettibile sensazione che non l’avrebbe mai saputo definitivamente e che, chiunque delle due avesse arrestato, sarebbe stata quella sbagliata. Era come tentare al gioco delle tre carte. Mentre stava pigramente svoltando nel vialetto della casa delle sorelle, in Applethorpe Road, era imbronciato e scontroso come un bambino: non aveva più voglia di arrestare nessuno, a meno che non fosse irrevocabilmente sicuro. Ma ormai era lì, c’erano prove sufficienti per inchiodare Agatha Murray, tutto era stato organizzato e ormai non si poteva più tornare indietro.
Butler osservava in silenzio Agatha Murray che, ferma in mezzo alla stanza, dopo aver ascoltato i suoi diritti puntò gli occhi nel vuoto e affermò imperturbabile: «Sì, sono stata io. Edward mi assillava, voleva tornassimo insieme, io non ne volevo più sapere. Ma non è questo il motivo del mio gesto: lui voleva che andassimo a vivere insieme, che mi staccassi una volta per tutte da mia sorella. Secondo lui, Agnes impediva la nostra unione, si metteva sempre in mezzo. Questo mi ha fatto impazzire: io non mi separerò mai da lei, non dividerò mai la vita e la casa con qualcuno che non sia Agnes. Mai. Una relazione va bene, ma sempre fuori casa. Lui invece non lo capiva. Così l’ho ucciso».
Denton sospirò: «Mi spiace, Agatha, ma ora succederà proprio quello che non volevi accadesse. Di’ addio a tua sorella».
Mentre Denton stava accompagnando Agatha alla volante, intercettò lo sguardo di Agnes: era immobile, ammutolita, il senso di colpa le irrigidiva il volto che pure rimaneva serio. Fu allora che il detective capì di aver arrestato la gemella sbagliata. Agatha aveva coperto la sorella, era lei ad aver agito per gelosia. Era Agnes l’anello forte della coppia, quella che, senza darlo a vedere, comandava. E Agatha arrivava persino ad immolarsi per lei.
Butler si allontanò con Agatha, maledicendo se stesso.