«La vita è molto lunga». (T.S. Eliot)
Questa è la frase, così banale eppure così vera, con cui si apre il film di John Wells I segreti di Osage County (2014). A pronunciarla è il colto e taciturno capofamiglia Beverly Weston, ex insegnante e poeta alcolizzato, prima di morire nella scena successiva.
In effetti, tanta vita è passata in casa Weston a Osage County, Oklahoma. La scomparsa del patriarca costringerà tutti i membri di una famiglia profondamente disfunzionale a fare i conti con rancori e dolori più o meno privati. Riunite attorno al tavolo, la sadica e dispotica vedova Violet (una strepitosa Meryl Streep), malata di cancro e farmaco-dipendente, e le tre figlie Barbara (Julia Roberts), Karen (Juliette Lewis) e Ivy (Julianne Nicholson), ciascuna con famiglia al seguito – per la precisione: il marito di Barbara Bill (Ewan McGregor), la loro figlia quattordicenne Jean e Steve, il fidanzato di Karen, un viscido e belloccio imprenditore di Miami. Ad aggiungersi al gruppo, la zia Mattie Fae, sorella di Violet, suo marito Charlie (Chris Cooper) e il figlio “Little” Charles (Benedict Cumberbatch), cugino dolce e inetto delle sorelle Weston. Un cast stellare si sfida in bravura grazie a diverse scene corali piene di battute memorabili (d’altronde, la pellicola è tratta dalla commedia, premio Pulitzer 2008, di Tracy Letts, che firma anche la sceneggiatura del film).
Ed ecco che, nel caldo asfissiante di un agosto nel Mid-West, lo spettatore assiste all’emergere dei segreti cui allude il titolo dell’opera. In un susseguirsi di campi lunghi sulle infinite distese azzurro-dorate che sono le Grandi Pianure americane («uno stato mentale, una sofferenza dello spirito, come il blues», ci viene detto all’inizio), scopriamo cosa si nasconde dietro il livore o la complicità che lega determinati personaggi. Capiamo una parte dell’efferatezza di Violet, ereditata da una madre crudele; scopriamo perché Barbara è sempre così scostante col marito Bill, o cosa rende la malinconica Ivy tanto protettiva nei confronti del cugino Little Charles; intuiamo i motivi della profonda avversione di Mattie Fae per suo figlio, che umilia e critica senza sosta.
Tutto viene allo scoperto, nell’orizzonte piatto e scarno di Osage County, in quella perenne linea di mezzo che spezza ogni inquadratura in due metà: cielo e terra. Rivendicazioni e gelosie, rimpianti e tradimenti si srotolano come un tappeto sotto il vasto cielo assente dell’Oklahoma: sapremo perfino la verità sulla morte del capofamiglia Beverly.
Eppure, come d’altronde accade nella vita, non tutto di ciò che viene a galla è decifrabile da chi lo vive. Per questo, ad esempio, non sapremo mai davvero se la cattiveria irriducibile di Violet è il frutto di un’infanzia traumatica costellata di soprusi materni, la conseguenza del suo abuso di farmaci, o il segno inequivocabile di una spietatezza dell’animo, di un’indole feroce per scelta e non per necessità. Ed è sempre per questo che Barbara realizza che, per quanto si sforzi, probabilmente non capirà mai veramente il motivo per cui suo marito, un uomo amorevole e affezionato a lei, la tradisca.
Non tutto si riesce a spiegare, non tutto si riesce a capire.
I personaggi si muovono dentro un’atmosfera esausta e nostalgica, pregna di un’amarezza implacabile, ma soffusa di luce dorata, bellissima. Proprio come il blues, verrebbe da dire.
È uno scenario da cui non si può scappare: Violet, in pieno stato confusionale, a un certo punto ci prova, a fuggire nei campi, ma viene subito bloccata da Barb, che le ricorda che laggiù «non si va da nessuna parte». Poi anche lei si accascia sul prato, come schiacciata da quel solito, vastissimo cielo, sempre visto dal basso.
I segreti di Osage County ti sbatte in faccia una verità semplice e difficilissima da accettare: c’è un male che si può spiegare, forse persino giustificare; e poi c’è un male ultimo, definitivo, senza spiegazione né redenzione, spesso perpetrato da chi ha il tuo stesso sangue, da chi porta il tuo stesso cognome. Ogni famiglia cova in silenzio questo segreto, e cioè che nessuno è solo colpevole e nessuno è solo innocente. Chi è ferito ferirà, e viceversa. E non sempre, anzi quasi mai, si sa davvero il perché. Lo dice con estrema lucidità Karen, paradossalmente la meno lucida delle tre sorelle, troppo impegnata a recitare la parte della bambolina svampita:
«Non è tutto bianco o nero. La verità si trova dove si trova tutto: da qualche parte, nel mezzo. Dove ci troviamo tutti noi».
Ciò che possiamo fare, dunque, è ricordarci che non esistono vinti e vincitori, assoluti colpevoli e completi innocenti; e sentire, con grande indulgenza, che la verità sta nel mezzo, là dove siamo tutti, in quella linea irraggiungibile che divide terra e cielo. La verità, imperfetta e a volte incomprensibile, siamo noi, con tutto ciò che sappiamo e non sappiamo, di noi stessi e degli altri.
Perciò, non ci resta che mettere su un blues e partire, cercando in ogni modo di sopravvivere.
Tanto, «La vita è molto lunga» (T.S. Eliot).
“Baby, I’m the one who’s broken,
maybe I’m the breaker of the hearts
Been so long since we’ve spoken
It’s been lonely, baby, it’s been hard”