Capitolo 1 – Smirne corre via

GREECE. Cyclades. Island of Siphnos. 1961.
Henri Cartier-Bresson, Cyclades, Island of Siphnos, Greece 1961

Smirne corre via. Non la seguo mai, eppure la cerco senza tregua. Vorrei sapere dove va, cosa pensa. Cosa vuole. Da me, dalla vita. Vorrei sapere il riflesso delle sue ciocche nel sole, la consistenza della sua pelle salina. Vorrei abituarmi ai suoi occhi vicini. Vorrei farla mia solo per sapere cosa si prova.

E invece Smirne corre via. Sempre nello stesso abito bianco come le case di questo villaggio che canuto e spossato si inchina al mare. Sempre con gli stessi sandali che, ne sono certo, furono di Artemide, e forse di Atena prima di lei. Nello sguardo brillano i silenzi di Penelope, il pericolo di una Circe. Nelle gambe selvatiche sono le Amazzoni con cui condivide i segreti dell’isola. La bocca di miele e zafferano non si pronuncia, forse non l’ho vista mai. Ogni notte provo a sognarla.

La sento chiamarmi nella sottile ombra della canicola, dietro gli scuri di questo paese diffidente, nel vino che resta sul fondo del bicchiere.

Smirne corre via, eppure lo sento che mi chiama. Non è di questa terra, ma sembra che ci sia sempre stata. O forse ero io che l’attendevo e non lo sapevo. Io, sognandola prima ancora di incontrarla, l’ho chiamata qui. Le mie braccia non l’hanno mai sollevata, non conoscono (oh, se vorrebbero!) il peso del suo corpo, ma ne hanno memoria. Le mie mani hanno memoria del suo seno, le mie nari del suo odore di zagare e pesce pescato. Amara e zuccherina, schiva e sfrontata, corpo di donna su occhi di bambina; ai margini ma al centro di tutto. È mia, e non lo sarà mai. Di questo, al porto, ne ridono, per questo mi canzonano.

Perché Smirne è la mia sposa, eppure corre via.

Chiesi la sua mano al padre sul letto di morte, ormai è un anno. Egli acconsentì. Le donne cominciarono a parlare e a darmi del folle, proprio come quella disgraziata figlia di capra. Fissata la cerimonia, le infilai un anello al dito prima che fuggisse via. Anche sotto al velo i lineamenti erano belli: mi bastò indovinarli appena, e gioirne. Non resse l’intera messa: sedette all’altare il tempo del sì, poi corse tra i suoi ulivi. Non la fermai, mi bastava così. Seduto da solo al banchetto, accanto a me solo indignazione e mormorii, sorridevo e cantavo felice. Non m’importava, Smirne era mia. Anche se correva via.

Ancora oggi, quando rientro con il pescato, mentre rido all’osteria o siedo sulla soglia la sera, spunta da un angolo della piazza e mi guarda. La sento ma non mi volto pur di tenere la sua figura ai margini della mia vista, fosse anche per un momento. Non resisto a lungo, però. Allora lei mi fissa un istante, e scompare tra gli scalini di sasso, ridendo.

Ah, la sua voce. È forse l’unica cosa che posso dire di conoscere davvero di lei, l’unica che mi regala ogni volta che la incrocio. L’unica davvero per me. Lei mi parla così. È il suo modo di dire Sono qui.

Nessuno capisce che Smirne, correndo via, mi sta accanto come sa. Sento che tra poco smetterà di correre, e tornerà per restare. Ma al momento vuole così, e non sarò certo io a fermarla. Se lo facessi correrebbe via più lontano, e per sempre. In fondo, ha detto sì perché sa che non la fermerò; sa che posso averla senza averla.

Ah, al porto mi chiamano stolto e becco, ma io so che non è vero. Smirne ha la tempra di Bradamante, è una vergine che non può fermarsi a riposare. Non subito.

Sono più vecchio, e lascio che viva come le farfalle della valle. Quando sarà sazia, tornerà.

Ho scoperto che da alcune lune vaga di notte per la mia casa. Non sa che non dormo e la sento partire all’alba. Una volta si è affacciata alla mia camera: ho chiuso gli occhi, il cuore contento. Mi ha lasciato un fiore di campo, e di nuovo è corsa via. Lo conservo accanto al letto, la nostra promessa per la primavera ventura.

Smirne corre via, ma sta rallentando la corsa. Ieri un fiore, oggi un dolce sul tavolo, domani lei. Non ho fretta.

Verrà il giorno, mia sposa, che non avrai paura di restare alla luce del sole; verrà il giorno che le donne taceranno, e sarà evidente a tutti che quel mattino prima della messa, e ogni giorno che passa, noi ci scambiamo un voto più sincero del sì sotto la navata, un patto più reale del barlume che ho di te ogni volta che scappi via con la tua bellezza accecante, sentita prima che vista, la stessa che scorsi sotto al tuo velo.

Io e te, amore mio, senza parlare ci diciamo moltissimo; ci doniamo una cura più leale di quella che tutti gli uomini e le donne di questo paese si immaginano. Io rispetto i tuoi tempi, siano fatte le tue volontà: solo così verrai per restare, solo così smetterai di correre via. Solo così puoi essere mia.

***

“Io resterò solo come i velieri nei porti silenziosi / ma ti possiederò più di chiunque / perché potrò partire.” (Vinicius de Moraes, Assenza)

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