
La faccenda è semplice: qualche anno fa volevo partecipare al mini-contest letterario indetto da Carlo Lucarelli e dalla sua Bottega Finzioni riguardo alle “Intercettazioni impossibili” (qui la spiegazione del tema scelto dal concorso), poi un grosso (e un po’ noioso) esame di latino mi aveva impedito di partecipare. Non fa niente, pensai: scrissi lo stesso la mia intercettazione impossibile, anche senza inviarla, anche dopo la scadenza: solo per me. Ora la ripubblico qui, sempre e solo per me (e per voi).
Ho pensato a un dialogo tra Elena e Paride, prima che lui la portasse con sé a Troia. Ho cercato di riprodurre (per quanto mi sia possibile) lo stile aulico e formulare dei poemi epici: spero di non essere stata troppo didattica, complessa o banale. Mi sono lasciata ispirare dai “Dialoghi con Leucò” di Pavese – un mostro sacro della scrittura, uno dei miei autori preferiti. A voi il giudizio.
Paride: “Pronto”.
Elena: “Il sire è partito”.
P: “…Quando?”
E: “Un’ora è passata, e le candide vele sono appena sparite nel fragore del mare”.
P: “Ermes ci protegga… Dove hai riposto i tesori?”
E: “Nannò sta portando i forzieri sul carro… Enea verrà?”
P: “Si è rifiutato. ‘Ho tema della folgore di Zeus Xenio’. Ha detto così, disobbedendo al mio comando. Non oso insistere”.
E: “Non si era ricreduto?”
P: “Mai ha indugiato su certe questioni. Mio cugino è un pio, troppo devoto allo scettro altrui, dell’uomo come del dio”.
E: “E ora chi caricherà l’oro sulle concave navi? Miseri noi, la fuga nasce sotto troppo neri presagi. Siamo perduti!”
P: “Dolce amica, non dolerti prima del tempo. Occorre pazienza: il serpe montano attende il pastore distratto tra i massi, anche per giorni, se serve. Noi, come lui, pazienteremo”.
E: “Per quanto ancora? Dobbiamo partire, Paride, già stanotte. Chi oltrepassa il limite deve iniziare a temere, dovresti saperlo”.
P: “Mirabile figlia di Leda, come potrebbe il signore dell’Olimpo, padre di dei e uomini e tuo stesso genitore – lo hai dimenticato? – scagliarsi contro colei che egli stesso generò, il suo fiore più bello? Il tempo è con noi, la fretta può solo confonderci”.
E: “Sarò forse il suo fiore più bello, ma nessuna attenzione ebbe per me, né per mia madre, amata solo un giorno. Chi mi crebbe fu Tindaro re di Sparta: di sangue reale, sì, ma il più umano che vi sia. Ascolta quanto ti dico, spingiamo ora la nera nave nel mare divino”.
P: “Cara amica, la data per la partenza era già stata fissata, e sarà tra due lune. Un patto non si scinde, specialmente quando tutto è calcolato. E poi l’Atride signore d’eroi è lontano, la morte del venerando Creso lo trattiene: sarebbe empio rientrare prima della fine degli onori e delle pire. Occorrono dieci giorni per onorare il Pelopide”.
E: “Dici il giusto”.
P: “Vedi, dunque? Tu stessa mi dicesti che Menelao è un severo osservatore delle leggi divine, e Necessità lo spinge, poiché troppo suo padre peccò. Egli non tornerà prima del tempo stabilito dalle Moire”.
E: “Ma è proprio perché la colpa già macchia gli Atridi che io sto fuggendo con te ora, non capisci? Dardanide, quello tra noi non è solo amore. Io sono il frutto di un sangue guasto che mi volle sua consorte. Io lo scelsi, pur senza conoscerne il passato. Ora pago le conseguenze della mia scelta, e della sua eredità di stragi”.
P: “Chétati, nobile regina. Oh, se solo avessi saputo della contesa, primo tra tutti sarei corso da Tindaro a chiedere la tua mano! Saremmo stati felici già allora, e tutto ciò non starebbe per compiersi”.
E: “Ma così non è stato, dolce Paride. Lachesi non ha voluto questo per noi. E io sento che ciò che stiamo per compiere costerà molte vite”.
P: “Per Giove! E quali vite potrebbero cadere, oltre alle nostre? Mia signora, gli dei non possono ostacolare un amore autorizzato da un loro pari. Afrodite braccio bianco, proprio lei con la sua potente arte, mi ha favorito nel tuo cuore. Nessuno può toccarti, nemmeno il re di Sparta”.
E: “Sento che più alte leggi stiamo infrangendo, e perciò io tremo. Forse siamo ancora in tempo per non precipitare gli eventi, se solo tu facessi ritorno a Ilio… Io ti amerei sempre, ma senza sfidare i miei padri, senza varcare i sacri confini tra ciò che deve e ciò che non deve accadere; la mia angoscia per le nostre sorti cesserebbe…”
P: “Il tuo discorso mi atterrisce. Parli come Enea, adesso: in questi giorni sempre mi vomita ingiurie feroci, è sdegnato, e sempre risponde: ‘Ho troppo rossore dei Teucri, delle Troiane lungo peplo, se profanassi, ospite, la dimora di chi mi accolse, l’Atride ordinatore di eserciti’. Facezie! Nella scelta tra averti nel sangue e nel timore e non averti, io scelgo senza indugio la prima. Così volle la Cipride, così volli io. Domani, quando apparirà la figlia della luce, l’Aurora dalle dita di rosa, prenderò i tesori e scenderò lungo la riva del mare urlante. Così è deciso”.
E: “L’ombra della rovina ci ghermisce… Soccomberemo, dunque. Sento che il fuso di Lachesi ci avvince, e nulla possiamo contro il Fato”.
P: “Il tuo tono mi sconcerta… È sempre la tua voce a parlarmi, Tindaride? Non comprendo tanta cupezza…”
E: “Nulla, lucente Paride, nulla. Lascia cadere le mie parole nell’oblio. Ci sovverranno solo quando non si potrà più tornare indietro. Ora è il momento di agire”.
P: “Ti ho convinta, dunque?”
E: “Sì, amore mio. Partiamo, è tempo che tutto si inneschi”.
P: “Il mio cuore canta, mia sposa!”
E: “Anche il mio, Dardanide, intona inni e voti agli dei. Afrodite bella chioma, infinite corone ti ornino il capo: proteggi ciò che hai creato”.
P: “Lo farà, vedrai. Lo farà per noi, e per mio cugino, che davvero partorì. La Citerea mai permetterà ad Ares, suo sanguinario amante, di scatenarci guerra”.
E: “Non so se crederti, mio sposo, ma ho deciso di farlo: non ho scelta. Ora mi congedo da te, anche solo per poche ore. Lasciamo che il carro di Febo lasci spazio ai cavalli bianchi di Selene”.
P: “Un’ultima cosa: ti amo, Elena. Ricordatelo”.
E: “Non lo dimentico, Paride. È tutto ciò a cui mi aggrapperò, da ora in poi”.