h 12.32.
Sussurri, matite che cadono. Sedie che scricchiolano e sguardi furtivi che spiano chi arriva e chi se ne va. Di nuovo frammenti di dialoghi bisbigliati su esami troppo difficili, assistenti troppo bastardi, fidanzati troppo distratti.
Il bip-bip di un telefonino che vibra su un tavolo, il fruscio leggero ma costante di pagine sfogliate e svogliate. Bottigliette di plastica centellinate, fazzoletti accartocciati e tavoli scarabocchiati.
Nell’aria nervosismo, rassegnazione e tanta voglia di fuga. Il silenzio è una coperta spessa e un po’ infeltrita.
Lo stridio di un evidenziatore sulla carta richiama la mia attenzione, gambe del tavolo troppo corte e rumorose singhiozzano nel coatto mutismo collettivo. L’odore penetrante e irresistibile di un bianchetto che si sfoga su un errore di distrazione.
Risate soffocate e maliziose, mormorii pettegoli, sguardi di intesa. Cerniere fulminee di zaini e astucci aperti e poi richiusi, cellulari carichi di speranze sbirciati in continuazione.
Appunti prestati, fogli strappati, capelli sciolti ravviati raccolti. Odore di polvere e dopobarba, tonfo sordo di passi pesanti su scale di legno.
Occhi che lottano contro il sonno, occhi persi nel vuoto o tra le righe stampate, occhi che si cercano e poi si evitano imbarazzati.
Unghie rosicchiate, chewingum masticate per ore, un piede batte impazzito sul pavimento.
Teste chine, gambe accavallate, stiracchiamenti e sbadigli, sguardi impazienti all’orologio e alle vetrate illuminate da un sole scialbo.
Fuori volti concentrati, dentro pensieri ribelli che svolazzano disobbedienti da un’analisi storiografica ai programmi per il venerdì sera con gli amici.
Blocknotes, enciclopedie e dispense. Mani che sorreggono smorfie dubbiose e fronti corrucciate, che massaggiano emicranie, che tormentano sciarpe e ciocche di capelli, che battono isteriche sulle tastiere pagine di tesine interminabili.
Di nuovo occhiate all’orologio, un volto s’illumina: finalmente la pausa “caffè e sigaretta”.
Poi le ore passano, ormai è buio, s’è fatto tardi e se no perdo l’autobus.
Zip di giubbotti che si chiudono in fretta, un senso di euforia e libertà. Passi nel gelo senza scampo dei portici d’inverno, verso casa.