Se ci voltiamo indietro e aguzziamo lo sguardo in fondo al tunnel del tempo, possiamo scorgere una terra popolata di uomini che coltivavano ignari le nostre radici. Quella terra, fatta di vento e di roccia, era la Grecia arcaica: un posto in cui mito e realtà germogliavano inseparabili, e non potevi mai sapere dove finisse la storia e iniziasse la leggenda.
Allora gli uomini erano soldati e pastori, re e contadini, filosofi e veggenti: tutto facevano sotto il cielo. E le donne? Le donne erano “solo” donne: dalla regina alla schiava, facevano figli e restavano in casa. E tessevano.
Sì, perché in quella terra di templi ed eroi la tessitura era l’attività femminile per antonomasia, l’unica arte cui le donne potevano dedicarsi. Così, mentre gli uomini erano occupati a guidare le sorti della politica, della filosofia e della guerra, dietro le mura domestiche alacri mani femminili intrecciavano silenziose fili di tessuti che servivano a coprire corpi, decorare banchetti, rivestire defunti. Questa era l’arte delle donne, il loro bagaglio di competenze, la loro forma di sapere.
In greco antico l’atto di tessere si esprimeva con il verbo ὑφαίνω [pron. uphaino], il quale, nell’ordine, significa “ordisco; tesso; macchino inganni”. Infatti, “tessere i fili” di qualcosa può non valere solo in senso letterale per il gesto tipico dell’artigiano, bensì anche nel senso più figurato del “tenere le fila” di un inganno o di un progetto segreto (da qui il significato di ‘ordire’, ‘macchinare’, ‘tramare’ alle spalle di qualcuno). Basti pensare alla tela di Penelope, astuto escamotage per rimandare le nozze con uno dei Proci, per trovare uniti questi gesti.
Ma anche un altro significato si nasconde in questa esclusiva arte femminile. Ὑφαίνω contiene anche le parole ύπό [pron. upò], che significa “sotto” e ἆινος [pron. ainos], che in greco è il racconto, la fiaba, il discorso. Ecco, quindi, che sotto c’è un racconto, perciò anche la narrazione prende vita attraverso gli intarsi delle nostre tessitrici: per questo la trama non è solo la compagna dell’ordito ma anche il canovaccio di ogni favola; per questo i teorici della letteratura parlano di ‘fabula’ e di ‘intreccio’; per questo ‘testo’ e ‘tessuto’ hanno la stessa radice etimologica.
Dalla notte dei tempi, quindi, donna fa rima con tessitura, ma anche con racconto. Dove c’è una donna, c’è una storia.
Io sono una donna: non ho la stoffa per tessere (è proprio il caso di dirlo)… Spero di averne un po’ per raccontare.